Di Emanuela Zucchi*

Carlo FrascàChi ha già partecipato ai due precedenti seminari di Pedagogia dell'ascolto svoltisi nel nostro Conservatorio sa, ormai, che il M° Carlo Frascà è un uomo dalle strane abitudini, come guardare la musica con gli occhi di uno scienziato, o fare scienza con lo spirito di un musicista. In lui c'è un'evidente tendenza a scompigliare i reparti del Sapere, a superare tutte quelle dicotomie, tipicamente occidentali, di cui normalmente ci si serve per semplificare (?) l'esistenza: arte e scienza, in primis, ma anche mente e corpo, fisico e metafisico, ecc.

Spiegare la potenza di questo approccio estremamente creativo non è facile. Così come non è facile raccontare il modo in cui l'eclettismo contagioso del M° Frascà ha irradiato la piccola aula multimediale del nostro Conservatorio, nei quattro giorni scorsi: ogni tentativo reca l'incompiutezza del resoconto, e lascia indietro un gran numero di emozioni.
Ma bisognerà pur rendere giustizia all'entusiasmo con cui tutti i presenti sono ritornati alla propria vita alla fine del corso, e allora è bene restituire qualche suggestione. Un buon canale per riuscirci c'è: non è fatto di parole, ma di musica. I cantanti e gli strumentisti che hanno raccolto il messaggio del M° Frascà sanno che, per condividerlo con altri, basta fare buona musica: creare un ponte di suoni tra sé, o meglio, tra l'artista dentro di sé, e chi ascolta. Obiettivo semplice, e per questo ambizioso, che passa da una serie di traguardi di consapevolezza: di sé, del proprio corpo, del proprio stato fisiologico, del proprio potenziale artistico, ma, soprattutto, di cosa può essere capace il suono.

 

Il suono è un fatto magico, che lo si guardi nella sua struttura di onda meccanica, o lo si viva in quel pezzo di musica che ci fa commuovere. E' magico che le cellule del nostro corpo vibrino producendo suono, che un'orchestra interiore possa parlarci della nostra energia e della nostra via per il benessere, che la bellezza della musica non sia solo un fatto culturale ma anche fisiologico, che soltanto un'arte emozionale, non intellettualmente mediata, possa far breccia in chi la riceve.
Bisogna convenire col M° Frascà che è difficile stabilire se tutto ciò riguardi di più la scienza o la musica, ma è assodato che sia reale ed affascinante. John Keats direbbe che tanto basta, e vale la pena dar credito ad uno che ha osato scrivere:

Not to the sensual ear, but, more endear’d,
Pipe to the spirit ditties of no tone

[Non per l'orecchio corporeo, ma, più amabili,
suonate per lo spirito arie senza suono]
(da Ode on a Grecian Urn, 1819)

*) Studentessa di Pianoforte e Composizione